La campagna di affissioni e in Rete dei "Giovani disposti a tutto" punta l'indice sulle offerte impossibili per i giovani che cercano una occupazione. Dalle retribuzioni ridicole alla mobilità estrema fino alla precarietà per statuto. Raccontateci la vostra esperienza
Trovare lavoro non è solo difficile. Può anche essere una esperienza umiliante, ridicola, impossibile. E' questo il senso della campagna che da qualche giorno compare sui muri di alcune città italiane e, soprattutto, impazza in Rete. Annunci anonimi, ironici e al tempo stesso sinistramente attuali, come offrire lavoro ad un account pubblicitario "disposto a farsi mantenere dalla famiglia".Chi ci sia dietro gli anonimi "Giovani disposti a tutto" e al loro sito Internet 1 non è dato sapere. Sta di fatto che hanno cominciato qualche giorno fa 2 con affissioni e inserzioni "virali" sul web. Poi, anticipata sul nostro sito, è arrivata una seconda serie di manifesti e banner 3. Fino a ieri, quando in Rete e sui muri cittadini è comparsa - sugli stessi manifesti - una significativa manchette "Non più" 4. Come a dire che quegli stessi giovani non vogliono più accettare il percorso a ostacoli, spesso vicino all'assurdo, che li attende al momento di affacciarsi nel mondo del lavoro.
Nelle offerte di lavoro le "proposte indecenti" si nascondono ovunque. Possono essere una retribuzione ridicola a fronte dell'impegno richiesto. Ma anche richieste di disponibilità tali da somigliare più a una schiavitù che a una occupazione. Possono essere mansioni così ampie che servirebbe farsi assumere in due. O così specifiche da diventare nicchie impossibili da coprire.
Repubblica.it si mette a disposizione per raccogliere queste "proposte indecenti". Le prove di una selezione che non rispetta più la normale dinamica offerta-domanda ma si trasforma in una lotteria senza più direzione. La lotteria nella quale i nostri lettori si imbattono tutti i giorni. Una finestra aperta sulla crisi, insomma. Vista con gli occhi di chi più di tutti questa crisi la vive sulla sua pelle. I giovani.
(09 novembre 2010)
repubblicaweb
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